giovedì 22 gennaio 2009

Il Papa cancella la scomunica ai vescovi nominati da Lefebvre




di Andrea Tornielli





Roma - Benedetto XVI ha deciso di revocare la scomunica ai quattro vescovi consacrati da Lefebvre nel 1988. Il decreto, che il pontefice ha già firmato, sarà pubblicato entro la fine della settimana. Il superiore della Fraternità San Pio X, Bernard Fellay, e gli altri tre vescovi, Alfonso de Gallareta, Tissier de Mallerais e Richard Williamson non saranno dunque più scomunicati.
La decisione di Papa Ratzinger è maturata negli ultimi mesi, in seguito alla lettera con la quale monsignore Fellay aveva chiesto la revoca del provvedimento comminato da Giovanni Paolo II nel 1988, dopo che l’arcivescovo Marcel Lefebvre, rifiutando in extremis un accordo già siglato con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, consacrò vescovi quattro giovani sacerdoti del clero della Fraternità. Un atto scismatico, perché quelle consacrazioni non erano legittimate dal pontefice, giustificato invece da Lefebvre per ragioni di sopravvivenza della sua comunità tradizionalista. Una comunità che non aveva accettato la riforma liturgica post conciliare né alcuni decreti del Vaticano II, peraltro firmati dallo stesso Lefebvre, come nel caso di quello sulla libertà religiosa. Scomunicati, ventun anni fa, furono lo stesso Lefebvre, l’anziano vescovo brasiliano Antonio de Castro Mayer, che partecipò alla consacrazione avvenuta in Svizzera (entrambi da tempo scomparsi), e i quattro neovescovi. Il cammino di riavvicinamento, iniziato con Papa Wojtyla dopo che i lefebvriani guidarono un pellegrinaggio a Roma per il Giubileo del 2000, è continuato con alti e bassi. Ma ha subito un’accelerazione dopo l’elezione di Ratzinger. La Fraternità ha chiesto al pontefice di liberalizzare la messa antica per tutta la Chiesa. E questo Benedetto XVI ha fatto, con il motu proprio «Summorum Pontificum», pensando non tanto e non solo ai lefebvriani, ma soprattutto a quei tradizionalisti rimasti nella piena comunione con Roma ma spesso penalizzati o guardati con sospetto perché rimasti legati alla liturgia preconciliare. Poi è stata chiesta la revoca della scomunica - che, va precisato, ha riguardato soltanto i vescovi, non i cinquecento preti della Fraternità né tantomeno i fedeli che ne seguono le celebrazioni - e richiedendola, Fellay ha voluto manifestare l’attaccamento al Papa e la volontà della piena comunione. I lefebvriani hanno anche compiuto di recente un pellegrinaggio a Lourdes, dove i quattro vescovi hanno lanciato l’iniziativa di far recitare ai fedeli un milione e settecentomila rosari per chiedere alla Madonna che la scomunica fosse tolta.
Il decreto che sarà reso noto nelle prossime ore non significa di per sé la soluzione del problema lefebvriano, ma rappresenta un passo importante. Il prossimo passò sarà un accordo che dia alla Fraternità San Pio X uno status giuridico nella Chiesa cattolica. La decisione di revocare la scomunica è un atto di grande magnanimità di Benedetto XVI, che va nella linea di sanare fratture e divisioni nel corpo ecclesiale e di riaccogliere nella piena comunione oltre ai vescovi, anche i sacerdoti e i fedeli. Nel giugno scorso il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia commissione «Ecclesia Dei», aveva posto a monsignor Fellay condizioni per proseguire il dialogo con la Fraternità, chiedendo ai lefebvriani «l’impegno a una risposta proporzionata alla generosità del Papa», a «evitare ogni intervento pubblico che non rispetti la persona del Santo Padre e che possa essere negativo per la carità ecclesiale», a «evitare la pretesa di un magistero superiore» a quello del Papa, e di «non proporre la Fraternità in contrapposizione alla Chiesa». Infine, l’impegno «a dimostrare la volontà di agire onestamente nella piena carità ecclesiale e nel rispetto dell’autorità del Vicario di Cristo».

mercoledì 21 gennaio 2009

Il padrone di casa



In libreria il romanzo “Il padrone di casa” di Alberto Samonà

Lo studio di sé è il filo conduttore de Il padrone di casa, romanzo epistolare del giornalista Alberto Samonà in libreria per le edizioni Robin di Roma.
La narrazione del libro si svolge secondo una scansione temporale di dodici mesi, contrassegnati, ciascuno, da una lettera che il protagonista del libro, un uomo sui quarant’anni, scrive ad un’amica lontana.
L’uomo cerca risposte e pone le proprie domande alla donna, ma la destinataria delle lettere resta in silenzio, mentre un ritmo circolare, evidenziato dalla mancanza di una risposta, contrassegna lo scorrere del tempo.
Il protagonista è “dipinto” dall’autore come un ricercatore addentro agli studi esoterici con un passato di militante di destra, che, però, ad un certo punto, complice una causa esteriore, si rende conto di come abbia beatamente trascorso tutta la propria vita nel sonno, nell’appagamento dei propri ego, ingigantiti anche dagli stessi studi da lui stesso svolti, nonostante lo scopo di questi fosse, in origine ben diverso e cioè, un fine di “liberazione”. Da qui, una “presa in carico” della propria situazione e il tentativo di uscirne, documentato dalle dodici lettere che il protagonista scrive all’amica, apparentemente semplici resoconti di vita ordinaria, in realtà tappe di un simbolico intimo viaggio in se stesso, o comunque, attività preparatorie al compimento del viaggio.
La donna resta muta per tutto il libro, fino a quando, forse, si può incominciare a sentire la voce del “padrone di casa”, il solo in grado di mettere ordine fra le mille altre voci che convivono nell’autore delle lettere.
Non mancano riferimenti a Evola e Guenòn e pagine interamente ispirate al pensiero tradizionale. Evidente anche l’influenza dell’insegnamento di Gurdjieff, nonostante l’autore, per rispetto e discrezione, non citi mai la fonte: un modo elegante che scongiura il rischio di appesantire la lettura.
Alla lettura lineare che lo fa somigliare ad un ordinario libro di narrativa, però, se ne aggiunge una meno evidente, “esoterica”, perché nelle pagine del romanzo è come se vi fossero molteplici segnali di un universo nascosto, che non appare immediatamente, ma che si disvela solo a chi sa guardare oltre, secondo il metodo tradizionale della conoscenza sintetica e analogica.

Alberto Samonà, Il padrone di casa, Edizioni Robin (Roma), pagg. 156, prezzo 12 euro.



Alberto Samonà, autore e giornalista siciliano, ha scritto diversi libri a contenuto simbolico, fra cui Le colonne dell'eterno presente (ila-palma 2001), La Tradizione del Sé (Atanòr, 2003), Riti pasquali (AA.VV. Ac-Mirror 2005), Tarocchi (AA. VV. Ac-Mirror, 2005). Dal suo racconto intitolato La bambina all’Alloro, il cantastorie iracheno Yousif Latif Jaralla ha tratto lo spettacolo teatrale Le orme delle nuvole. È componente della giuria nazionale del concorso letterario “Subway letteratura”.

giovedì 15 gennaio 2009

Santa Teresa d'Avila









di Pietrangelo Buttafuoco











Formidabile e terribile fu santa Teresa d’Avila. Mistica – scrittrice feconda, preda di frequenti deliri estatici – la santa, “inconfutabilmente isterica”, fu un antifemminuccia e perciò donna tenace e rude. Fu potente e austera ma sempre in balia d’irrefrenabili esaltazioni. Fondatrice dell’ordine delle carmelitane scalze i cui conventi ancora oggi ¬– nella Spagna dei desideri e dei genitori A e B – narrano l’età profonda della Controriforma, Teresa fu donna che fece della sua vita terrena un inno al Dio della fede universale cattolica.Un sorprendente racconto di lei, specie in tempi in cui la religione gode di cattiva comunicazione, ce lo porge Julia Kristeva in “Teresa, mon amour”. Nel sottotitolo si legge: “Santa Teresa d’Avila, l’estasi come un romanzo”, è un corposo volume tradotto da Alessia Piovanello ed edito in Italia da Donzelli (euro 35,00). Santità e misticismo sono interpretati in chiave psicanalitica dalla scrittrice, in modalità in vero non sempre convincenti, quasi la mistica Teresa recalcitrasse ad essere imbrigliata in categorie che non le appartengono. Le tante citazioni riportate nell’opera, tratte dagli scritti della santa, bastano a spazzar via le troppe sovrastrutture interpretative con le quali la Kristeva che premette di non essere credente, prova spiegare il cammino verso la santità di Teresa, che entrerà in convitto nel piccolo collegio agostiniano di Santa Maria de Gracia, ad Avila, a sedici anni. In età più che matura per l’epoca e per una creatura chiamata alla santità.Teresa de Ahumada de Cepeda, era nata il 28 marzo 1515 ad Avila, in Spagna. La cattolicissima Spagna nel 1500 manda agli antipodi la propria flotta per arricchire le casse dello Stato, ma teme le conseguenze dello scisma luterano che sta insanguinando l’Europa nello scontro fratricida tra cattolici e protestanti che incrinerà per sempre il segno medievale della cristianità universale. Teresa è la terzogenita di don Alonso Sanchez de Cepeda e dona Beatriz de Ahumada. La bambina porta il nome della nonna materna e della bisnonna paterna. Il nonno paterno, Juan Sanchez vive a Toledo ed è un “marrano”, un ebreo costretto a convertirsi al cattolicesimo, obbligato a indossare lo scapolare giallo che indicava i convertiti che in segreto continuavano a professare la loro antica religione. In realtà il ricco mercante è creditore di quegli stessi suoi concittadini che lo scherniscono, e l’umiliazione da lui patita, sembra più che altro formale, se per molto meno l’Inquisizione soleva comminare pene ben più terribili. Il padre di Teresa ha già alle spalle un primo matrimonio e due figli. Rimasto vedovo, sposa l’elegante e delicata Beatriz, donna colta e discreta che amava leggere con la bambina Teresa romanzi cortesi e storie di santi. Beatriz partorirà dieci figli e, sfinita dalle gravidanze, morirà a trentatrè anni. Teresa ha tredici anni e deve imparare ad occuparsi della numerosa famiglia. La fortuna accumulata dal nonno, è stata dilapidata dal padre: vivere da hidalgo è molto più dispendioso che vendere sete. Tutta la vita Teresa avrà in mente due cose: la honra paterna, l’onore, a cui tutto bisogna sacrificare pur di mantenerlo intatto e la triste fine di dona Beatriz: nulla dura per sempre, neanche l’amore terreno. L’hidalgo è il nobile che serve il re ed ha il privilegio di non pagare le tasse. I de Cepeda finiscono in tribunale per provare il loro status di hidalgos. Allo stesso modo, la scelta religiosa è anche una fuga “dallo star soggette ad un uomo” come lei stessa scriverà. Perfino le regine non sfuggono al destino femminile di partorire al servizio dei disegni politici della monarchia. Teresa riuscirà ad affrancarsi dal destino che il suo sesso le ha disegnato restando figlia per sempre. Non è facile fuggire dal mondo. Teresa è una giovane donna che conosce le lusinghe dell’amore. Trascorre da un ricevimento all’altro, partecipa alle feste in onore della regina Isabella, e di Carlo V quando Sua Maestà si ferma ad Avila a visitare la città. Eppure bisogna essere capaci di sfidare il mondo, di esiliarsi al di là di quel che sembra tutto, ed invece è niente. “Quanta cura ponevo per non perdere quello che credevo fosse l’onore del mondo! Nel cercarlo ponevo, da persona vana somma cura”. E poi prende la sua decisione, tiene testa al padre, uomo di fede ma che non vuol sentir parlare di convento. Riesce a convincerlo, ma deve sostenere una lotta durissima con se stessa. “Quando uscii dalla casa di mio padre, provai tanto dolore che non credo di sentirlo maggiore in punto di morte”. Diventare monaca, entrare nel claustro è, forse, anche una forma di risarcimento alla sfortunata dona Beatriz, poiché in spagnolo l’utero si chiama claustro materno. Diventare monaca è pareggiare i conti del nonno marrano e del padre che soleva leggere i libri sacri alla famiglia riunita. Il rapporto di Teresa con Dio è voluttuoso, ne partecipa il corpo che sposa la Passione di Cristo facendola sua, è la realizzazione del vero onore, l’attaccamento al Dio della Croce. E’ attraversata dalla passione e si identifica con questa sofferenza. Consapevole del raro privilegio che la sua condizione le offre, rivive come beatitudine tutta la sofferenza della Croce con i flagelli, le spine e i chiodi. Descrive i suoi rapimenti – l’uscita dalla propria condizione umana, sensibile – per diventare onda di un oceano che l’avvolge e la travolge. La figura del Dio-uomo, introdotta dal messaggio evangelico, rompe il rapporto tradizionale tra la divinità trascendente e l’uomo, separato dall’abisso della finitezza. L’orante si rivolge ad un Dio, l’Iddio infinitamente lontano dall’umanità mortale ferita dal peccato di Adamo. La rivelazione operata dal Cristo, congiunge nella sua umana persona ciò che da sempre era separato, l’umano e il divino, la trascendenza e l’immanenza, il tempo e l’eternità. Tutto nella sofferenza vissuta dal Dio incarnato. Teresa nel suo rapimento estatico, sperimenta letteralmente l’uscita da sé, come vera conoscenza del proprio io. Conoscersi perdendosi nell’amore dell’Altro. Il cammino dell’uomo alla ricerca della propria coscienza può avere molti inizi e infinite direzioni. Se la civiltà cristiana affonda le proprie radici nella filosofia greca, è Socrate l’iniziatore del dialogo che scopre l’interiorità dell’uomo come sua essenza, ed è Cartesio che la razionalizza nell’intuizione del “Cogito” come pensiero fondante dell’esistenza umana. Teresa, appena prima di Cartesio, fonda l’esistenza di sé fuori da sé. Si potrebbe definire, il suo, il terzo e sublime livello di conoscenza teorizzato da Spinoza, dopo quello fallace dei sensi e quello razionale dell’intelletto che procede per dimostrazioni. Abbandonate le plaghe del pensiero razionale che avvolge il mondo dell’esperienza nelle categorie della ragione, si parte per un’avventura magnifica che trascende l’esistenza individuale per trasportarla nei cieli dell’infinito Essere. Kristeva interpreta il rapimento mistico di Teresa come un trasfert freudiano che realizza la conoscenza di sé nel legame con l’altro, in questo caso con Dio. E’ un mistero ineffabile. Mistero è termine greco, deriva da muo, stare chiuso, rinserrato, coltivare la propria interiorità inaccessibile e sprofondare nell’Altro. L’unione mistica è tema che si perde nel tempo, si nutre della filosofia medievale, la quale ha a sua volta un grande debito con la tradizione neoplatonica del perdersi nell’Uno-Bene e risale da questa al Platone profeta che fonda i cieli della metafisica abitati dai sommi archetipi, le divine idee del Bello, del Bene, del Giusto e approda nella contemplazione aristotelica del Divino come intelletto separato che attrae l’intero cosmo con la purezza intangibile della sua perfezione. La presenza del Cristo nell’Eucarestia, permette al credente l’inaudito privilegio di incorporare Dio. Mangiare del corpo di questo Dio incarnatosi per riscattare l’umanità. Com-unione. Quanto più la Chiesa trionfa nel tempo umano, si radica nelle abitudini dei popoli, scandisce i momenti centrali della vita dell’uomo, la nascita purificata nel battesimo, il matrimonio, sacramento dell’unione indissolubile tra l’uomo e la donna e la morte celebrata nel rito funebre dalla comunità, tanto più perde il mistero. La Chiesa si apre al mondo, conquista proseliti, diviene corpo sociale e perde il mistero. Il conflitto tra Lutero ed Erasmo tra Riforma e Controriforma, riguarda anche questa questione. Il monaco agostiniano aborre il rapimento mistico che considera un rigurgito di stregoneria, un cedimento alla lussuria carnale ed esalta il rigore morale che deve tenere a freno le tentazioni della carne, i cattolici della Controriforma invece, concedono dei varchi all’esito mistico della fede. Teresa e le sue visioni si inseriscono in questo contesto. Teresa è la santa della Controriforma. Prima che trionfi la razionalizzazione dell’esistente e la celebrazione del metodo scientifico di Galileo, Teresa fa in tempo ad innalzare un inno al desiderio del corpo, freudianamente sublimato nell’unione con il corpo di Cristo. Il barocco è il trionfo della sensualità nell’arte, del corpo esibito, delle chiese stracolme di smalti e ori, della ricchezza rigogliosa delle forme, che esprime in ogni dove il trionfo della creazione. Il secolo dei Lumi, il ‘700 francese, spazzerà via questo misticismo considerato una debolezza da esteti, La filosofia di Kant che esalta la fede illuminista nella ragione, farà della legge morale un imperativi categorico che ogni uomo deve imporre a se stesso. Un abisso separa il filosofo di Koninsberg dalla santa di Avila anche se entrambi appaiono lontani dalla decadenza morale e spirituale di oggi, ma il genitore A e il genitore B dell’attuale Spagna e perfino Pedro Almodovar sono figli di Kant, non certo della sensualissima ed eroticissima Teresa. Il tentativo del primo di imbrigliare l’umanità nella ferrea rete della legge morale, non pare aver sortito particolare successo, mentre la fuga di Teresa dal mondo, “Conosciti in Me” appare una follia incomprensibile ai più. Agli occhi dello psicanalista, il corpo femminile è istintivamente pronto all’abbandono perché è dimora del desiderio, essendo concepito come un unico organo sessuale inebriato dal desiderio dell’oggetto d’amore, che nel trasfert erotico si sottrae all’infinito, e si sublima nell’esperienza mistica. Hegel trova nei sermoni di mastro Eckhart, la descrizione dell’esperienza umana dell’abbandono nel “Grund”, l’abisso divino in cui perdersi per ritrovare autenticamente se stessi. L’angoscia della separazione è del resto un trauma dal quale secondo Freud, l’uomo non guarisce mai, per tutta la vita. Espulso dall’utero materno, per tutta la sua esistenza cercherà di sanare questa frattura, ritrovando la Madre. Gli esiti mistici diventano secondo questa lettura una modalità di ricomporre la lacerazione immergendosi nell’Altro che può essere inteso come Madre e Padre, un femminile che coincide con il maschile, un annientamento delle individualità e dunque un superamento della originaria separazione. Si toglie la nascita, morendo d’amore, immergendosi panicamente e divenendo corpo mistico. La grande differenza è che l’esperienza analitica, non ha esiti trascendenti, mentre la fede è ovviamente al centro dell’incontro con Dio. Per la psicanalisi dunque, l’esperienza mistica è solo un rifugio, un tentativo di placare il bisogno di protezione ricongiungendosi alla Madre, la fine della tensione, il raggiungimento della quiete, indicibile e incomprensibile alla logica ferrea della razionalità. Si tratterebbe di liberare le pulsioni dell’Es dalla censura del Super-Io, soddisfacendole pienamente. E’ il dottor Charcot con cui il giovane Freud intraprende la sua carriera medica che definisce le sante “inconfutabili isteriche”. Fuori da una lettura psicanalitica e al riparo da essa, il furore mistico di Teresa riesce ad incamminarsi lungo lo stretto sentiero dell’ortodossia religiosa, sfuggendo al sospetto di eresia, e rafforzando la Chiesa cattolica in quegli esiti sovrannaturali di cui il popolo dei credenti è sempre affamato. Riuscendo anche a testimoniare questa esperienza estatica nella scrittura delle sue opere, e concretizzando nella fondazione dei conventi l’ansia di Dio che la divora. E’ capace Teresa al contempo di descrivere i suoi rapimenti, di parteciparvi con il corpo soggetto a paralisi, contorcimenti, crisi epilettiche, attacchi di anoressia e bulimia, digiuni feroci, penitenze e flagellazioni, e al contempo gestire la delicata questione della rifondazione di un Ordine, che richiede tatto, diplomazia, ma anche tenacia, ostinazione e durezza. L’originalità della sua esistenza è riuscire a percorrere un’esperienza – quella estatica, assolutamente individuale – e poi a costruire una comunità che si apre al mondo: non senza avere sfidato e vinto i sospetti dell’Inquisizione di avere a che fare con una donnetta esaltata.Teresa prende l’abito il 2 novembre 1536. Trascorre trent’anni della sua vita nel convento dell’Incarnazione, un edificio in cui “d’inverno la neve cadeva sui breviari e d’estate la canicola arroventa i muri”. Legge molto, scrive molto, descrive nei dettagli le sue esperienze di elevazione”. Alcune volte perdo quasi del tutto le pulsazioni, le mani sono così rigide che non posso congiungerle…”. Il patimento del corpo permette all’anima di godere la gioia ineffabile dell’incontro con l’Altro. Patimenti del corpo, sensualità femminile, arte letteraria, distacco dal mondo. “Dio mi rende così estranea dal mondo che mi pare che nessuna creatura sulla terra possa darmi compagnia”. Si tratta di passare la notte in un cattivo albergo. Addirittura Teresa teme che occuparsi del prossimo sia una forma di vanità, una ricerca di onori. Teresa si mette in ascolto di Dio. “Un giorno, dopo la comunione, Sua Maestà mi ordinò con fermezza di fare quanto era possibile “. Dio chiede a Teresa di prodigarsi per una riforma del Carmelo che riporti l’ordine alla originaria Regola di povertà e clausura. Non sarà facile vincere le resistenze degli altri ordini, geuiti e domenicani, oltre che del Carmelo stesso. Troppi equilibri da bilanciare, quasi nessuna rendita da investire, la suscettibilità delle consorelle non deve essere urtata. Ma Teresa procede spedita, forte della presenza di Dio nel suo cuore, sa che qualunque difficoltà può essere superata. “Mi sembra di non essere io a parlare, a volere, a vivere, ma che vi sia in me qualcuno che mi guida e mi dà forza”. Il primo convento nasce nell’agosto del 1561, intitolato a San Giuseppe. Teresa progetta la casa, disegna i piani, dipinge le pareti.Un’inconfutabile isterica: nei vent’anni che gli restano da vivere fonderà altri conventi. La Regola è rigida, le monache devono vivere del loro lavoro e non possedere nulla. Povertà, clausura, nessuno svago che possa allontanare la mente dal pensiero di Dio. E’ il definitivo distacco dagli agi famigliari, dal ricordo del nonno materno che aveva fatto fortuna sul commercio del superfluo, dagli onori mondani, dalla vita legata allo svago effimero. Sa anche essere dura con le consorelle, non sopporta quelle che si lamentano, le malate, le storpie. Non accetta il lato sdolcinato della femminilità, arriva a dichiarare che vorrebbe che le sue figlie in nulla si mostrassero donne ma uomini forti. Le fondazioni di Teresa di Gesù puntellano la Spagna che la suora percorre in lungo e in largo: Medina del Campo, Valladolid, Toledo, Salamanca, Siviglia, Granada. Teresa si fermerà solo per morire. Muore il 4 ottobre 1582 ad Alba de Tormes. Per vent’anni più di millecinquecento persone hanno testimoniato nel processo di beatificazione prima e di canonizzazione poi. Nel 1970 Paolo VI la proclamerà prima donna ‘dottore della chiesa universale’ insieme a Caterina da Siena. La sovraccoperta del libro di Kristeva riporta la splendida immagine della “Transverberazione di santa Teresa” di Lorenzo Bernini che si trova a Roma nella chiesa di Santa Maria della Vittoria. Teresa ha gli occhi e la bocca socchiusi, il volto riverso all’indietro, lo sguardo vigile eppure distante, come perduto. La fede di Teresa ha conosciuto la gioia mistica, estatica, della beatitudine ineffabile che si eleva oltre l’umano dire. Sarà seppellita in una nicchia della cappella dei duchi di Alba sotto un cumulo di terra, calce e pietre. Nel ricevere l’estrema unzione ripete “In fin dei conti, Signore, sono figlia della Chiesa”. Teresa di Gesù lascia questo mondo per risiedere nell’Altro, eternamente. Estaticamente. Esteticamente e inconfutabilmente.

domenica 11 gennaio 2009

L'oratorio di Santa Sofia dei Tavernieri

di Gianluca Pipitò



L'oratorio di Santa Sofia dei Tavernieri si trova nel cuore della Palermo Antica ed esattamente in Corso Vittorio Emanuele all'altezza di Palazzo Vannuci, dietro la piazza della Vucciria.Proprio da Palazzo Vannucci, attraverso un arco detto appunto di Santa Sofia, si entra in una piazzetta che prende il nome dalla Chiesa in questione.
La storia dell'oratorio si svolge nel vecchio quartiere della Loggia che era il punto di riferimento delle "Nazioni Estere", dette nazioni provenivano da tutta Italia per aprire delle "Logge" per la vendita delle loro mercanzie ed erano situate vicino al Porto, inoltre, portavano con se le loro tradizioni ed i loro "Santi Protettori" a cui innalzavano Chiese ed Oratori.

La Maestranza che ha costruito la Chiesa di Santa Sofia (protettrice dei Milanesi insieme a San Carlo Borromeo) era quella dei Tavernieri ed era di origine Lombarda. Come tutte le Maestranze anche quella dei Tavernieri si riunisce, sin dal 1545, in "Consolato" da cui nasce la Confraternita, che ha comunque autonomia decisionale rispetto al Consolato. All'inizio la Confraternita non aveva una Chiesa propria ma era ospite in una Cappella presso la Chiesa del SS. Crocifisso all'Albergheria dove nel mese di ottobre festeggiava la Santa. Nel febbraio 1585, da Antonio Barone, i rettori della Confraternita ed i Consglieri del Consolato acquistarono alcuni magazzini ed iniziarono nel 1589 la costruzione dell'oratorio che venne completato nel 1590, successivamente nel 1606 la fabbrica venne ampliata acquistando, sempre da Antonio Barone, alcune case dietro la Chiesetta. Dopo l'arrivo di Garibaldi l'Oratorio passa nel Demanio dello Stato ed a tutt'oggi fa parte degli Immobili gestiti da Fondo Edifici per il Culto del Ministero dell'Interno. Secondo alcuni studiosi si pensa che l'Oratorio sia in rovina per via dei Bombardamenti dell'ultima guerra, ma da una ricerca approfondita non risulta MAI nominata quale chiesa pericolante, da puntellare o altro ed è strano se si tiene in considerazione il fatto che la Soprintendenza ai Beni Culturali ed altri Enti anche ecclesiastici hanno fatto un censimento certosino delle Chiese e dei monumenti che hanno subito qualsiasi danno. Comunque la Confraternita, oggi non più attiva, fino al 1939 usufruiva dell'Oratorio ed in questa Chiesa è nata l'unica confraternita al Mondo dedicata a Maria SS. Addolorata degli Invalidi e Mutilati di Guerra, di cui io sono il segretario. La struttura è in pessime condizioni, l'antico portone in legno è stato sostituito da uno in acciaio, le pareti sono pericolanti ed il bel portale è in pieno degrado, all'interno la cosa è ancora peggio, infatti, vi sono presenti dei gradevoli stucchi ma fortemente degradati, la gente, senza scrupolo ed ignorante, ha aperto delle finestre sui muri ed ha costruito un giardino all'interno della Chiesa e l'ex locale sacrestia è diventato un garage per auto. La cosa assurda è che il F.E.C. preferisce vendere questa testimonianza di armonia fra le nazioni estere e la Capitale della Sicilia (Milano e Palermo) per levarsi un peso e, magari, concedere un pezzo di storia della Lombardia e di Palermo a qualcuno che non sa fare altro che aprire PUB e chissà che cosa.Sò che c'è un SERIO interessamento della Soprintendenza BB.CC. per ricostruirla, ma a questo punto non è meglio restaurarla e darla in comodato d'uso alla Confraternita che garantisce la manutenzione ordinaria?


A Voi l'ardua sentenza.

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