martedì 30 settembre 2008

COME LE SAPEVA FARE BENE E BELLE LE CASE E LE CITTÀ IL MALE ASSOLUTO, NESSUNO.




Pietrangelo Buttafuoco per "Il Foglio"







Il libro di Antonio Pennacchi,"Fascio e Martello. Viaggio per le città del Duce"Come le sapeva fare bene e belle le case e le città il Male Assoluto, nessuno. Il libro di Antonio Pennacchi,"Fascio e Martello. Viaggio per le città del Duce" pubblicato da Laterza (euro 18,00), è un percorso indietro nel tempo, alla scoperta delle città fatte costruire da Mussolini che, escluse Sabaudia e Littoria poi ribattezzata Latina, sono ben poco conosciute alle italiche genti ammorbate dal Bene Totale. E' un esercizio di archeochic quello della scoperta dell'urbanistica del DUCE.
In taluni casi si parla addirittura di piccolissimi insediamenti oggi completamente abbandonati, come Borgo Riena, in Sicilia, che ha oggi un unico abitante, Totò Militello, un ottantenne condannato all'ergastolo per un omicidio in primo grado, che aveva aspettato l'appello "canziatu", cioè in latitanza, e che per questo di notte scendeva a Borgo Riena dove la sua famiglia si era trasferita per la colonizzazione. Totò, che si è sempre proclamato innocente, è stato assolto in appello. La Regione siciliana ha poi cacciato i pochi abitanti dell'insediamento, che ora è "vacante", vuoto. Così Totò è di nuovo "canziatu". Nessuna carta geografica riporta il nome di questa località, non è registrata in alcuna mappa catastale. Ma è una "città nuova" come le altre che Pennacchi ha visitato e di cui ha studiato la fisionomia e l'humus, la storia e soprattutto le cause della loro fondazione.
Queste città sono l'espressione tangibile della politica avviata da Mussolini a partire dagli anni Trenta e secondo Pennacchi - autore tra gli altri de "Il Fasciocomunista", un best seller Mondadori - e di "Palude" (Donzelli) - rispondente a un disegno che il DUCE aveva elaborato molti anni prima, ossia la bonifica dell'Italia centro-meridionale, la costruzione di insediamenti, "le città nuove", che divenissero il tessuto sociale di una nuova classe di contadini, capaci di rappresentare lo zoccolo duro del regime fascista.Pietrangelo Buttafuoco
La tesi di Pennacchi è che il DUCE vuole instaurare in Italia, all'indomani della presa del potere, una dittatura proletaria contadina, espropriando il latifondo che tanta estensione aveva nella penisola, e riDUCEndo così l'influenza dei grandi proprietari terrieri che possedevano migliaia di ettari di terra, ma si limitavano a coltivarli a grano o a lasciarli a pascolo, garantendosi una rendita parassitaria.
Si resta stupefatti apprendendo come, nel giro di pochi anni, il progetto di bonifica dell'Agro Pontino sia stato effettuato, ma anche l'insediamento umano, attraverso la costruzione ex novo di città, nelle quali sono stati trasferiti coloni provenienti da altre regioni di Italia, il Veneto per esempio, allettati dalla possibilità di un lavoro dignitoso ma soprattutto dal possesso di un podere che lo stato fascista consegnava al nuovo venuto e alla sua famiglia già perfettamente completo.
L'avventura di costruire città laddove per secoli, se non addirittura per millenni, aveva regnato la palude, abitata da micidiali zanzare portatrici di malarie, serpenti lunghi anche due metri e grossi topi roditori, è un affare di stato. Sbalordisce la velocità con cui tale progetto è stato portato a termine. Aprilia fu edificata in diciotto mesi, per Littoria ne bastarono addirittura sei. Il centro dell'insediamento è rappresentato dalla torre littoria che, secondo Pennacchi, è la ripresa che il fascismo fa, della torre medievale che per tutta l'età comunale rappresenta il cuore laico della civitas, facendo fuori il luogo comune, che invece identifica nella chiesa il centro simbolico della comunità.
Le immagini note del DUCE che pone la prima pietra e, novello Romolo, traccia il solco, dovettero ripetersi innumerevoli volte, se il calcolo di Pennacchi arriva a contarne fino a centocinquanta di varie dimensioni da una punta all'altra dell'Italia, fino all'Istria e senza contare i villaggi edificati nell'Impero fascista. Non è solo l'impresa, già per sé meritoria, di fondare città, che è un altro modo non guerresco di "essere facitori di storia". La città diviene il luogo in cui gli individui che la abitano, possono partecipare a una serie di attività organizzate secondo i dettami del partito. Il cinema, il dopolavoro, la biblioteca, l'asilo, i campi sportivi.
Ad Arsia ci saranno perfino le piscine e gli impianti di riscaldamento centralizzato. E poi le organizzazioni giovanili, la Mutua, le colonie estive. Il DUCE ha ruralizzato le masse mediante un'urbanizzazione realizzata in soli dieci anni, dal 1932 al 1942. Continuava a far costruire città anche in piena guerra. Hanno, tutte queste città, una sorta di impronta che le accomuna. Intanto ovunque sono stati piantati eucaliptus perché assorbono acqua, allontanano le zanzare e sono un'ottima barriera contro il vento, almeno così sostenevano quelli della Milizia forestale che li piantavano ovunque. Pare che fosse tutto vero, tranne la storia che respingessero le zanzare, anzi sembra proprio che avessero l'effetto contrario.
Ma tant'è, almeno contro il vento funzionavano davvero. E infatti, dopo la guerra, la Regione Lazio li ha fatti sradicare, così che le trombe d'aria, adesso, quando arrivano, tirano via perfino i tetti dei capannoni e gli oleandri che la gente ha piantato in giardino. Ogni città ha la sua piazza, la sua Casa del Fascio e anche il suo campanile, ma un tantino defilato rispetto al centro urbano. Gli anni in cui l'urbanizzazione delle terre bonificate raggiunse il suo culmine, vanno dal '31 al '36. In pochi anni si passa "dalla preistoria alla modernità".
Poi c'è la conquista dell'Impero e successivamente, dal '38 al 42, il secondo periodo di bonifica, in Puglia, Campania e Sicilia. Anche la fondazione dell'Impero con la conquista dell'Abissinia e il trasferimento in Libia di trentamila rurali, fa parte del disegno fascista di dittatura delle masse. Visto che la bonifica in Italia comporta lo scontro con i grandi latifondisti, Mussolini ritiene più semplice andare a conquistare la terra di cui ha bisogno fuori dalla penisola costruendovi sopra i villaggi che debbono ospitare i coloni. Anche in questo caso l'obiezione di tanta storiografia è che sembra un'operazione esagerata andare a conquistare terra mentre altri cercano almeno oro e petrolio, e farlo con i gas.
Attraverso il viaggio per le città del DUCE, Pennacchi in realtà vuol delineare la fisionomia del regime fascista. La sua tesi è che, lungi dall'essere una dittatura di destra, quella che Mussolini instaurò fu una dittatura contadina. Era il passato socialista del giovane Mussolini che si realizzava nella creazione di una classe sociale nuova ritagliata sull'espropriazione del latifondo e la rinascita dell'antico mezzadro vessato dal padrone a colono di un podere tutto suo.
A segnare la trasformazione del regime in totalitarismo concorre l'avvicendarsi dei simboli dalla prima fase della ruralizzazione alla successiva. La torre littoria viene sostituita nella sua centralità, dalla Casa del fascio, il potere laico è divenuto potere proletario. Non era stata operazione facile da realizzare. Anzi in un primo tempo, Mussolini non è ancora così forte da poter inimicarsi il ceto agrario, né ha tutto il denaro che i suoi progetti richiedono. Pertanto si appoggia agli stessi proprietari terrieri che vengono aiutati nei lavori di bonifica, da sovvenzioni dello stato. Ma alla fine degli anni Venti la situazione cambia.

Il DUCE, nonostante le resistenze dei latifondisti, affida i lavori di bonifica all'Opera Nazionale Combattenti fondata da Nitti, di cui nomina responsabile unico il conte Valentino Orsolino Cencelli, al quale dà carta libera: espropriare la terra, frazionarla in piccole unità e venderla ai coloni. Lo scontro è duro. Da una parte, il Consorzio dei proprietari, che ha buoni appoggi al ministero dell'Agricoltura, dall'altra Cencelli. Quando le tensioni tra le due parti diventano insostenibili, il DUCE sostituisce Cencelli con Araldo di Crollalanza, più diplomatico nei rapporti con i proprietari terrieri ma anche più sinceramente socialista.
Aprilia e Pomezia vengono progettate da Concezio Petrucci, un giovane architetto che nel 1929 già insegnava nella facoltà di Firenze appena istituita e che successivamente progetterà Fertilia in Sardegna e Segezia in Puglia. Sabaudia viene fondata nel 1933. Intanto il DUCE ha ben altre preoccupazioni. Nel 1935 la conquista dell'Abissinia gli ha inimicato le potenze europee, che attraverso la Società delle Nazioni comminano all'Italia pesanti sanzioni, tra cui il divieto di importare merci dall'Europa. L'Italia ha soprattutto bisogno del carbone per il quale dipende totalmente dai paesi europei. Viene trovata una valida alternativa nella lignite, un succedaneo del carbone, che si trova in grandi quantità nel Sulcis, in Sardegna. Ha minor potenza calorica ed è più costoso del carbone, ma non c'è altro da fare. Il DUCE dà ordine di estrarlo.
Viene creata l'Acai (Azienda Carboni Italiani), con a capo il commendatore Giulio Segre, proprietario di una società estrattiva con miniere di carbone in Istria, l'Arsa, che confluirà nell'Acai. Segre farà costruire Carbonia in Sardegna e Arsia in Istria, tra Pola e Fiume. Anche la storia di questi insediamenti, può servire a notare alcune incongruenze del regime. Il DUCE va in Abissinia ricavandone l'isolamento economico in Europa, deve inventarsi una materia prima da produrre in Patria e da inviare ovunque nella penisola, impiantare miniere, trasferire individui che hanno bisogno di insediamenti abitativi, "le città dell'autarchia". Qui il controllo sociale è ferreo. Nessun ricambio di classi sociali come era avvenuto nelle città della bonifica. Carbonia è popolata per il cinquanta per cento di pregiudicati, non ci sono donne, è un insediamento che gravita interamente sull'attività mineraria che Segre controlla con pugno di ferro, ricevendo dal DUCE attestati di stima. Ma i tempi cambiano, anche i vincoli più saldi e le amicizie più durature non reggono l'urto e la sciagura della ragion di stato. Cresce l'ostilità contro gli ebrei.Mussolini e Famiglia
Segre era ebreo di nascita, ma si riteneva italiano a tutti gli effetti. Rifiutava il sionismo, era un fascista convinto, un grande patriota e un eroe della Grande guerra. L'architetto che aveva scelto per disegnare il piano regolatore di Carbonia era un triestino di origine ebrea, Gustavo Pulitzer. Carbonia fu inaugurata il 18 dicembre 1938, ma Segre non partecipò alla festa. Il 17 novembre erano state promulgate le leggi razziali. Segre viene costretto alle dimissioni dalla guida dell'Acai e sostituito. Nel '43 chiede ancora invano di poter partecipare alla guerra, da soldato italiano. Dovette riparare in Vaticano dove morì nel '44.
Dopo la guerra, il carbone, quello vero, riprese ad arrivare dall'Europa e via via le estrazioni nel Sulcis presero a rallentare fin quasi a cessare. Pare che, oggi, sia rimasto in attività un unico pozzo. Carbonia invece è ancora lì, è diventata una città del terziario, la più importante del versante sud-occidentale della Sardegna. Le gallerie delle miniere stanno ancora tutte sotto la città, sono parte essenziale della sua identità. Pare che il vento, quando soffia forte, si insinui nei mille cunicoli sotterranei urlando. Urla quasi umane che arrivano fino a sù. Il calore emanato dalla lignite non si è spento, talvolta si innalzano colonne di fumo. In città si mormora che la miniera è abitata dagli spiriti. Forse è il fantasma di Segre che attende ancora giustizia.
La seconda fase della bonifica viene attuata a partire dal 1938 da Araldo di Crollalanza, incaricato dal DUCE di estendere i lavori nel Foggiano, dopo i successi dell' Agro Pontino, in Campania e in Sicilia. Il piano prevede una durata di dieci anni per la completa realizzazione del progetto. Bisognerà appoderare il territorio in piccole unità affidate alle famiglia coloniche con contratti di lunga durata.
Gli inadempienti saranno espropriati. Lo stato realizzerà tutte le infrastrutture necessarie: strade, ponti, canalizzazione delle acque. Nemmeno lo scoppio della guerra fa recedere Mussolini dai suoi progetti. Ancora nel '42, in piena guerra, viene inaugurata Segezia, la più importante delle città pugliesi. Ma l'operazione compiuta in precedenza, trapiantare popolazioni di altre regioni italiane nel tessuto sociale preesistente, suscita forti reazioni contrarie. E di Crollalanza dovette cedere alle pressioni locali sia degli inviperiti proprietari terrieri espropriati delle loro terre che dei braccianti. Con la caduta del Fascismo, sarà la Democrazia Cristiana ad avviare una nuova riforma agraria, ancora con gli agrari contro, e i braccianti minacciosi disposti anche a bruciare le terre pur di entrarne in possesso. La frammentazione della terra sarà così parcellizzata - i poderi non dovevano superare i quattro ettari di estensione - che molti braccianti pugliesi, emigreranno, abbandonando la terra. Intanto è stata ripresa la coltivazione del grano. E' un'attività più comoda, permette al contadino di tornare la sera al paese. Sono state dismesse le stalle e qualunque agricoltura intensiva. I piccoli poderi sono stati rivenduti e nel giro di pochi anni sono ricomparsi i latifondi.Mussolini e Hitler
La classe dirigente del dopoguerra sarà rappresentata da quello stesso ceto di latifondisti espropriati durante il fascismo. Il nuovo è il vecchio che ritorna. Nelle città fondate dal DUCE non ci abita più nessuno, solo qualche famiglia che si è impadronita abusivamente delle case. Di sera la piazza di Segezia si riempie di extracomunitari che tornano dal lavoro nei campi. Sembra una moderna torre di Babele, riecheggiano idiomi vari compresi solo da chi li parla.
Poi come le quinte di un palcoscenico, la piazza lentamente si svuota, la città torna deserta e tutti vanno a dormire chissà dove. Il grande progetto di Mussolini, creare "l'uomo nuovo", ruralizzare l'Italia, ridimensionare i privilegi dei grandi latifondisti, ridare nuova linfa all'agricoltura, disseminare l'Italia di poderi, è fallito. Così come l'assalto al latifondo siciliano, dove c'erano in ballo ben cinquecentomila ettari di terra da espropriare. La guerra ha spazzato via tutto. Per alcuni storici l'unico risultato tangibile del progetto del DUCE, sarebbe la bonifica dell'Agro Pontino, settantamila ettari di terreno.
In realtà l'operazione riguarderebbe circa un milione di ettari. Pennacchi sostiene che, se Mussolini avesse solo portato a termine la ruralizzazione dell'Italia, sarebbe restato un fascista di Littoria, il guaio è che poi i fascisti sarebbero diventati tutti antifascisti, compreso quel pennellone lì che c'ha campato una vita a fare i saluti romani e a trascinarsi dietro Mirko Tremaglia e Carlo Tassi in camicia nera, giusto per guadagnarsi la giornata con i ragazzi di Salò.
Detto questo ha ragione Lucio Caracciolo che ha ospitato nel suo Limes questo straordinario viaggio di uno straordinario scrittore qual è il Pennacchione nostro, dove si parte in un modo e si arriva in un altro. E veramente - come scrive Caracciolo - sarebbe stata "una catastrofe epistemologia" se il DUCE non avesse avuto il mal di pietre nel costruire tutte le sue città. Nessuno dopo l'avrebbe fatto e nessuno avrebbe fatto le bonifiche e soprattutto non ci sarebbe stato Antonio Pennacchi, scrittore di Latina. "Una catastrofe epistemologica". Infine la domanda di Caracciolo: "Ma al Duce ‘Le città del Duce' di Antonio Pennacchi sarebbe piaciuto?". Certo che gli sarebbe piaciuto: il DUCE era dei nostri.

PARTIGIANI SPESSO FUGGIVANO DOPO ATTENTATI


- PARTIGIANI SPESSO FUGGIVANO DOPO ATTENTATI (AGI) - "I partigiani non erano amati da tutti, anche perche’ spesso, dopo aver fatto le loro azioni contro i nazisti, scappavano e lasciavano che i tedeschi compissero le loro rappresaglie contro i civili. Questa e’ Storia e non e’ certo una mia invenzione". Uno Spike Lee insolitamente sulla difensiva ha presentato a Roma alla stampa il suo ultimo film, "Miracolo a Sant’Anna", in sala dal 3 ottobre in 250 copie, interpretato da Laz Alonso, Derek Luke, Michael Ealy, Omar Benson Miller e da un cast italiano di grande qualita’: Pierfrancesco Favino, Valentina Cervi, Omero Antonutti, Sergio Albelli, Lydia Biondi, Luigi Lo Cascio e lo splendido piccolo esordiente Matteo Sciabordi. La storia, tratta dal romanzo di James McBride (anche sceneggiatore, in collaborazione con Francesco Bruni), segue le vicende di un gruppo di soldati americani durante la Seconda guerra mondiale appartenenti alla 92.ma Divisione "Buffalo", costituita solo da militari di colore, che si "perde" sui monti della Toscana, infestate dai tedeschi, pochi giorni dopo la strage di Sant’Anna di Stazzema, quando i nazisti massacrarono 560 civili per rappresaglia. Quattro militari si trovano a contatto con gli abitanti di un paesino sulle montagne toscane e con un gruppo di partigiani, gli autori della strage che porto’ alla reazione tedesca a Sant’Anna. Tra loro anche un traditore, una figura molto moderna, con un enorme conflitto interiore. Questo personaggio, interpretato da Sergio Albelli, ha urtato numerose coscienze ed e’ alla base, insieme alla figura del capo dei partigiani (Pierfrancesco Favino), delle numerose polemiche tra le associazioni di partigiani che si ritengono in qualche modo offese.
"Se il mio film apre delle discussioni - ha spiegato Spike Lee - e’ un fatto molto positivo. Non mi sono inventato io, ne’ tanto meno McBride, che i partigiani in Italia e in Francia non erano amati da tutta la popolazione. E neppure il fatto che questi scappassero quasi sempre dopo gli attentati contro i nazisti. Al di la’ delle discussioni comunque - ha detto ancora il regista americano - c’e’ un fatto indiscutibile: il 12 agosto 1944 la XVI divisione delle SS ha massacrato a Sant’Anna di Stazzema 560 civili inermi".Se la polemica su come il film racconti le figure dei partigiani infastidisce Spike Lee, di diverso avviso e’ Pierfrancesco Favino, che interpreta il partigiano Peppi Grotta autore della strage di nazisti che porto’ alla rappresaglia di Sant’Anna. "Se avessi 80-90 anni e avessi combattuto per la liberta’ del mio Paese, rischiando la vita e vedendo molti compagni morire - ha detto l’attore romano piu’ popolare del momento negli Usa (oltre a Spike Lee ha lavorato ne "Le cronache di Narnia" e ora e’ sul set di Ron Haward in "Angeli e Demoni") - probabilmente anch’io sarei arrabbiato. L’immagine che viene data dei partigiani, certamente, non e’ quella che mi porto dietro da sempre. C’e’ il bene e il male in tutto. Tutto si puo’ dire di me - ha detto ancora - ma non che sia un uomo vicino alla destra. Eppure ritengo che in Italia una parte della popolazione giudica intoccabile questo argomento. Per me, invece, la Storia dev’essere affrontata in termini laici e ho intenzione di raccontare a mia figlia questo periodo cercando di comunicarle i dubbi e le incertezze piuttosto che delle verita’ assolute, quelle con cui siamo cresciuti e che oggi vengono affrontate e discusse. Il bello e’ che nessun regista italiano ha avuto il coraggio di fare un film su Sant’Anna e se ne parla oggi solo perche’ esce il film di Spike Lee". "Miracolo a Sant’Anna" arriva in Italia dopo l’anteprima americana e gli attacchi, a volte impietosi, di parte della stampa Usa e di alcune trasmissioni tv (un comico in un popolare programma ha detto che e’ meglio bere latte cinese (contaminato, ndr) che vedere il film di Spike Lee). "Io sono un artista e non posso piacere a tutti. Mi criticano? E allora che devo fare, buttarmi giu’ dall’Empire State Building? Io faccio film da 23 anni - ha tagliato corto il regista - e di sicuro continuero’ a farli anche se a qualcuno non piacciono i miei film". "Miracolo a Sant’Anna" non e’ un film storico e lo stesso McBride ha spiegato che "ci sono molte versioni su cosa sia accaduto a Sant’Anna di Stazzema, ma io volevo scrivere solo un romanzo" che racconti un importante episodio che fa parte del processo di integrazione della popolazione afroamericana negli Usa che nel 1944 era considerata e trattata dai bianchi come appartenente a una razza subumana.

Una scena del film Miracolo a Sant'Anna"Spike ha voluto dare voce a personaggi di pelle nera - ha spiegato bene Omero Antonutti, che interpreta il ruolo di un capofamiglia intimamente fascista che non si rende conto di cosa accada -. A soldati di colore che avevano orgoglio di dimostrare nella loro patria di non essere cittadini di serie B". Domani il regista e il cast saranno a Firenze a presentare il film in un’anteprima organizzata dalla Toscana Film Commission. Si prevede l’intervento delle associazioni partigiane e, forse, nuove polemiche.

lunedì 15 settembre 2008

I giovani di An contro Fini


di Luca Telese per Il Giornale


Roma - Si sono riuniti ieri mattina nell'anfiteatro di Atreju, a Roma, a conclusione della loro festa. Una discussione intensa, a tratti preoccupata, dopo lo strappo di Gianfranco Fini, celebrata proprio in un incontro pubblico con i giovani del suo partito. È inutile girarci intorno. In questo momento, l'epicentro del mal di pancia dentro An sono loro, i ragazzi di Azione Giovani. Da due giorni, la loro leader (nonché ministra) Giorgia Meloni non interviene nella polemica per una scelta precisa, quella di difendere la propria organizzazione. Ma il disappunto dei ragazzi di Ag si sfoga nei blog di area, nelle dichiarazioni di alcuni dirigenti rappresentativi, in quella assemblea a porte chiuse. E i loro giudizi nei confronti del leader un tempo indiscusso sono a dir poco caustici.
Se sali sulla collina del Celio all'ora di pranzo, per esempio, puoi incontrare Carolina Varchi, la ragazza siciliana che nel dibattito con Silvio Berlusconi aveva bacchettato il premier, rimproverandolo di una sua digressione sul comunismo a sua detta «poco pragmatica». Carolina ha gli occhi azzurri, un viso apparentemente angelico, ma si definisce «alquanto incazzata». E spiega: «A Gianfranco non avrei fatto alcuna domanda. Sono rimasta colpita dal suo modo di mischiare storia e politica, non condivido una virgola nella sua divisione fra morti di serie A e morti di serie B nella guerra civile, che poi sarebbero i morti di Salò». Adesso è la sua organizzazione sotto accusa nel partito: «Mi pare una follia! Noi siamo immersi nel nostro tempo, ascoltiamo la musica dei nostri coetanei, conosciamo i loro problemi forse meglio dei nostri leader, raccogliamo il loro consenso, se è vero che le nostre sono le liste più votate nelle scuole e negli atenei. Ma di che film parlano?». Messa così sembra quasi una sfida. E Carolina la raccoglie: «Lo scriva: al contrario dei grandi, eletti nelle liste bloccate, noi raccogliamo le preferenze, una a una. La sottoscritta, è stata la più votata a Palermo. E saremmo noi i nostalgici fuori dal mondo?». Ma perché tanta difficoltà sull'antifascismo allora? «Forse perché in nome dell'antifascismo militante, nell'anno di grazia 2008, non solo nel 1943 dei bei libri di Pansa, qualcuno mi ha preso a bottigliate in facoltà!».
Altro capannello, quello dei torinesi, altro volto-simbolo dell'organizzazione, quello di Augusta Montaruli, la ragazza che è finita sulla prima pagina de La Stampa perché ogni volta che prova a dare un esame gli autonomi scatenano la guerriglia all'università: «Quello che ha detto Fini è un falso storico. La divisione fra buoni e cattivi è una cosa grottesca, che persino gli storici di sinistra rifiutano». Però così vi piove sulla testa l'accusa di nostalgismo. Augusta ride e scuote la testa: «Ma semmai è il contrario! Per noi è questa idea che si debba dire cosa si pensa del 1943 pena l'impossibilità di fare politica a essere anacronistica!». Avete quasi fischiato il vostro leader? «No. La nostra è stata un'accoglienza fredda ma responsabile. Una grande prova di maturità, direi: aspettiamo che i grandi dimostrino di saper fare altrettanto. Noi non siamo reducistici, siamo molto più moderni di loro».

In rete, malgrado nel weekend molti siano disconnessi, arrivano pronunciamenti a valanga, tutti scanditi nella lingua cruda del web. Scrive per esempio il Blog Lettera Maltese: «Oggi Fini, durante la festa di Atreju, ha detto ai suoi giovani fascisti di riconoscersi nei valori dell'antifascismo. Credo sia dunque ormai chiara la verità sul suo quoziente d’intelligenza. Quali sarebbero questi fottuti valori dell'antifascismo? La democrazia? J. J. Rousseau era antifascista?».Un altro blog di destra - Radici Profonde - si affida alla satira cabalistica. «Quelli di Salò avevano torto, impossibile paragonarli ai resistenti. Parola di Gianfranco Fini (22: il matto). La festa dei giovani di An (48: morto che parla) si è trasformata in una grande lezione di storia presieduta da uno dei peggiori “storici” del nostro Paese». Su Atuttadestra prevale il sarcasmo sulla storia del leader: «Non fummo certo noi a dare a una mozione congressuale il titolo “Il Msi, fascismo del 2000”, ma un certo Gianfranco Fini, in arte presidente della Camera».
E che dire di Slash? «Tra la freddezza dei presenti ha avuto coraggio, se non si è suicidato, (politicamente) lo faranno fuori a breve. Però ha messo il paracadute, tra poco trasloca nel Pdl, libertà di essere fascisti». Infine i grandi. A sezioni chiuse, quelli che potevano sono accorsi fino a Revere, a manifestare il proprio dissenso alla presentazione dell'ultimo libro di Giampaolo Pansa. «Lo storico, dilettante» (autodefinizione) a sorpresa ha dato ragione a chi criticava Fini: «Io non so se sia un grande leader. So, e lo scriverò nel bestiario, che ha fatto un errore madornale nel non distinguere bene fra l'antifascismo democratico e quello totalitario. E so che ha messo in difficoltà, a partire da oggi, tutti i militanti di An che, in tutta Italia, adesso saranno irrisi e censurati».

giovedì 11 settembre 2008

Il Sangue dei Vinti


“IL SANGUE DEI VINTI”, IL FILM CHE FA PAURA – DOPO IL NO DI VENEZIA, IL RIFIUTO DDEL FESTIVAL DI ROMA (VIA SMS) - PANSA: “È UN PAESE DI CODARDI CHE HA PAURA DELLA VERITÀ SULLA PROPRIA STORIA”…



Naturalmente le motivazioni del no sono “artistiche”. Marco Müller, direttore della Mostra di Venezia, l’ha rifiutato perché s’aspettava addirittura “un gotico sulla guerra civile”. Piera Detassis, coordinatrice del Festival (ex Festa) di Roma, pur apprezzando “alcune parti avvincenti”, ritiene che “la fiction prevalga sul cinema”. Così “Il sangue dei vinti”, il film di Michele Soavi tratto dal libro di Pansa, resta a terra un’altra volta. Nessun festival sembra disposto ad accoglierlo. Eppure la Rai l’ha coprodotto sborsando 5 dei 9 milioni di euro, Soavi è un regista esperto nel maneggiare storie controverse, nel cast primeggiano Michele Placido, Barbora Bobulova, Stefano Dionisi, Philippe Leroy, Giovanna Ralli. Niente. Sin dall’inizio, cinque anni fa, il progetto destò sospetti e antipatie. Visto il tema, giudicato politicamente scorretto, qualche attore si defilò dal progetto; il copione è stata ritoccato infinite volte per scongiurare accuse “di indebito revisionismo”; nel corso delle riprese, specie a Saluzzo, la troupe subì una sottile forma di boicottaggio. Solo coincidenze? Riflette amaro il produttore Alessandro Fracassi: “È come se quel titolo si portasse dietro un’aura di maledizione”. Evidentemente “Il sangue dei vinti” tocca nervi scoperti. Per la materia incandescente che insidia il culto resistenziale e si riflette nella cronaca politica. Tanto più alla luce delle recenti polemiche innescate dalle dichiarazioni di Alemanno e La Russa. Eppure trattasi di un film.


Con Placido nei panni di un commissario di polizia, Franco Dogliani, che sul finire della guerra, partito da Roma per un’inchiesta, risale verso la natia Cherasco, nelle Langhe, diventando testimone attonito, sempre più partecipe, di alcuni dei fatti di sangue - la resa dei conti dopo il 25 Aprile - rievocati da Pansa. Soavi, regista in bilico tra cinema e tv, spiegò di essersi ispirato soprattutto ad “Antigone” di Sofocle, per il tema dolente della giusta sepoltura. A quanto pare non è bastato.


Martedì sera, dopo il no veneziano, è arrivato anche quello di Roma. Per sms, indirizzato al produttore: “Mi dispiace, ma per ‘Il sangue dei vinti’ non è stato possibile trovare spazio”. Detassis conferma, ribadendo che la decisione nasce “solo da ragioni artistiche”. Così come Gian Luigi Rondi, chiamato da Alemanno a sostituire Bettini alla presidenza della kermesse romana, scandisce al telefono: “Smentisco di aver fatto rilievi od obiezioni. Non ho visto ‘Il sangue dei vinti’, ricordo solo di averne letto il titolo all’interno di una lista. In ogni caso, i direttori delle diverse sezioni godono della massima autonomia”.Eppure già da luglio, dopo due proiezioni incoraggianti, all’Auditorium ci si interrogava sulla possibile collocazione del film. Scartata la selezione ufficiale, si accarezzò l’ipotesi di una “serata evento” rinforzata da un dibattito pubblico. Se possibile, con Pansa messo a confronto con storici o giornalisti di diverso orientamento (Pavone, Curzi, Sansonetti, alcuni dei nomi escogitati) e Paolo Mieli a far da moderatore. A questo punto, tutto saltato. O magari rinviato ad aprile, quando “Il sangue dei vinti”, nella versione lunga in due puntate, approderà su Raiuno. Sferzante il commento di Pansa: “Mi sembra tutto prevedibile, questo è un Paese di codardi che ha paura della verità sulla propria storia”. Resta il suo parere positivo sul film: “Ricordo molte cose sulla guerra civile, a partire da ‘Tiro al piccione’ di Montaldo. Però mai l’ho vista così vera, non dico realistica, come stavolta. Dentro il libro, un elenco di nomi e di episodi, c’è tutto e niente. Ma il tutto, ovvero il senso di sfacelo e disumanità che va al di là della causa, giusta o sbagliata che fosse, l’ho ritrovato intatto sullo schermo”.

mercoledì 10 settembre 2008

La Messa non è finita


Alessandro Gnocchi - Mario Palmaro

La Messa non è finita
Pagine 128

€ 12,00


“Reverendo don Camillo, ci conosciamo da parecchio tempo e saltiamo i convenevoli. E’ uno dei tanti vantaggi che si hanno quando si parla tra gente malgarbata come noi. Non stiamo a chiederle come va: se sono tempi grami per due cattolici ordinari come i sottoscritti, figuriamoci per un sacerdote come lei”. Comincia così, questo libro che Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro dedicano alla Messa tradizionale. Un lavoro originale che, oltre a un’accorata e “teologicamente scorretta” lettera indirizzata al ruvido e “inattuale” sacerdote inventato da Giovannino Guareschi, propone un florilegio di brani della letteratura e della spiritualità che narrano, descrivono e spiegano l’antico rito. Il lettore potrà dunque farsi accompagnare per mano da Manzoni, Guareschi, Marshall, Benson, Bernanos, Sant’Ignazio, Padre Pio, Barsotti e tanti altri grandi autori alla scoperta, o alla riscoperta, di un tesoro che non i cattolici non possono dilapidare.


Gli Autori Alessandro Gnocchi si occupa delle tematiche religiose nella letteratura moderna e contemporanea. È considerato il maggior studioso di Giovannino Guareschi, al quale ha dedicato una decina di saggi (l’ultimo, scritto con Mario Palmaro, è Giovannino Guareschi. C’era una volta il padre di don Camillo e Peppone). Scrive anche di attualità religiosa: in questo settore, con Mario Palmaro, ha pubblicato, Catholic Pride, Contro il logorio del laicismo moderno, Io speriamo che resto cattolico e Il pianeta delle scimmie. Per Fede & Cultura, ha pubblicato il romanzo Liberaci dal male e il saggio L’Ave Maria di don Camillo. È editorialista del quotidiano Il Giornale, collabora con Il Timone. Conduce su Radio Maria la trasmissione Uomini e letteratura, incontri alla luce del Vangelo.


Mario Palmaro, laureato in Giurisprudenza, filosofo del diritto, è docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Università Pontificia Regina Apostolorum di Roma e presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma. È presidente nazionale del Comitato Verità e Vita. Giornalista pubblicista, è una delle firme della rivista il Timone ed è editorialista de il Giornale e de il Cittadino di Monza. Dai microfoni di Radio Maria conduce da anni la rubrica Incontri con la Bioetica. Oltre ai libri pubblicati con Alessandro Gnocchi, ha pubblicato, tra l’altro Ma questo è un uomo e Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta.

sabato 6 settembre 2008

Io se fossi Dio



IO SE FOSSI DIO[Giorgio Gaber ]


Io se fossi Dio...
e io potrei anche esserlo,
sennò non vedo chi!

Io se fossi Dio,
non mi farei fregare dai modi furbetti della gente,
non sarei mica un dilettante,
Sarei sempre presente!
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
o meglio ancora a criticare
appunto cosa fa la gente.
Per esempio il piccolo borghese
com'è noioso,
non commette mai peccati grossi,
non è mai intensamente peccaminoso.
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
e pur sapendo che Dio è più esatto di una Sveda
lui pensa che l'errore piccolino non lo conti o non lo veda.

Per questo
io se fossi Dio,
preferirei il secolo passato,
se fossi Dio
rimpiangerei il furore antico,
dove si odiava, e poi si amava,
e si ammazzava il nemico!

Ma io non sono ancora
nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
non sarei così coglione
a credere solo ai palpiti del cuore
o solo agli alambicchi della ragione.

Io se fossi Dio,
sarei sicuramente molto intero
e molto distaccato
come dovreste essere Voi!

Io se fossi Dio,
non sarei mica stato a risparmiare,
avrei fatto un uomo migliore.
Si vabbè lo ammetto
non mi è venuto tanto bene,
ed è per questo, per predicare il giusto,
che io ogni tanto mando giù qualcuno,
ma poi alla gente piace interpretare
e fa ancora più casino!

Io se fossi Dio,
non avrei fatto gli errori di mio figlio,
e sull'amore e sulla carità
mi sarei spiegato un po' meglio.

Infatti non è mica normale
che un comune mortale
per le cazzate tipo compassione e fame in India,
c'ha tanto amore di riserva
che neanche se lo sogna,
che viene da dire:
"Ma dopo come fa a essere così carogna?"

Io se fossi Dio,
non sarei ridotto come Voi
e se lo fossi io certo morirei
per qualcosa di importante.

Purtroppo l'occasione
di morire simpaticamente
non capita sempre,
e anche l'avventuriero più spinto
muore dove gli può capitare
e neanche tanto convinto.

Io se fossi Dio,
farei quello che voglio,
non sarei certo permissivo,
bastonerei mio figlio,
sarei severo e giusto,
stramaledirei gli Inglesi
come mi fu chiesto,
e se potessi
anche gli africanisti e l'Asia
e poi gli Americani e i Russi;
bastonerei la militanza
come la misticanza
e prenderei a schiaffi
i volteriani, i ladri,
gli stupidi e i bigotti:
perché Dio è violento!
E gli schiaffi di Dio
appiccicano al muro tutti!

Ma io non sono ancora
nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Finora abbiamo scherzato!
Ma va a finire che uno
prima o poi ci piglia gusto
e con la scusa di Dio tira fuori
tutto quello che gli sembra giusto.

E a te ragazza
che mi dici che non è vero
che il piccolo borghese
è solo un po' coglione,
che quel uomo è proprio un delinquente,
un mascalzone, un porco in tutti i sensi, una canaglia
e che ha tentato pure di violentare sua figlia!

Io come Dio inventato,
come Dio fittizio,
prendo coraggio
e sparo il mio giudizio e dico:
"Speriamo che a tuo padre
gli sparino nel culo cara figlia!".
Così per i giornali diventa
un bravo padre di famiglia.

Io se fossi Dio,
maledirei davvero i giornalisti
e specialmente tutti,
che certamente non son brave persone
e dove cogli, cogli sempre bene.
Compagni giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete,
avete ancora la libertà di pensare
ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere,
e di fotografare immagini geniali e interessanti,
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate
senza tremare un momento:
cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti,
e si direbbe proprio compiaciuti.
Voi vi buttate sul disastro umano
col gusto della lacrima in primo piano.
Sì vabbè lo ammetto
la scomparsa dei fogli e della stampa
sarebbe forse una follia,
ma io se fossi Dio,
di fronte a tanta deficienza
non avrei certo la superstizione della democrazia!

Ma io non sono ancora
del regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente,
nel regno dei cieli non vorrei ministri
e gente di partito tra le "balle",
perché la politica è schifosa
e fa male alla pelle.
E tutti quelli che fanno questo gioco,
che poi è un gioco di forza, è ributtante e contagioso
come la lebbra e il tifo,
e tutti quelli che fanno questo gioco,
c'hanno certe facce
che a vederle fanno schifo,
che sian untuosi democristiani
o grigi compagni del P.C.
Son nati proprio brutti
o perlomeno tutti finiscono così.

Io se fossi Dio,
dall'alto del mio trono
vedrei che la politica è un mestiere come un altro
e vorrei dire, mi pare Platone,
che il politico è sempre meno filosofo
e sempre più coglione!:
è un uomo tutto tondo
che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo,
che scivola sulle parole
anche quando non sembra o non lo vuole.

Compagno radicale,
la parola compagno non so chi te l'ha data,
ma in fondo ti sta bene,
tanto ormai è squalificata,
compagno radicale,
cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino
ti muovi proprio bene in questo gran casino
e mentre da una parte si spara un po' a casaccio
e dall'altra si riempiono le galere
di gente che non centra un cazzo!
Compagno radicale,
tu occupati pure di diritti civili
e di idiozia che fa democrazia
e preparaci pure un altro referendum
questa volta per sapere
dov'è che i cani devono pisciare!

Compagni socialisti,
ma sì anche voi insinuanti, astuti e tondi,
compagni socialisti,
con le vostre spensierate alleanze
di destra, di sinistra, di centro,
coi vostri uomini aggiornati,
nuovi di fuori e vecchi di dentro,
compagni socialisti fatevi avanti
che questo è l'anno del garofano rosso e dei soli nascenti,
fatevi avanti col mito del progresso
e con la vostra schifosa ambiguità!
Ringraziate la dilagante imbecillità!

Ma io non sono ancora
nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato
nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
non avrei proprio più pazienza,
inventerei di nuovo una morale
e farei suonare le trombe
per il Giudizio universale.

Voi mi direte perché è così parziale
il mio personalissimo Giudizio universale?
Perché non suonano le mie trombe
per gli attentati, i rapimenti,
i giovani drogati e per le bombe?
Perché non è comparsa ancora l'altra faccia della medaglia.
Io come Dio, non è che non ne ho voglia,
io come Dio, non dico certo che siano ingiudicabili
o addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili,
ma come uomo come sono e fui
ho parlato di noi, comuni mortali,
quegli altri non li capisco,
mi spavento, non mi sembrano uguali.
Di loro posso dire solamente
che dalle masse sono riusciti ad ottenere
lo stupido pietismo per il carabiniere,
di loro posso dire solamente
che mi hanno tolto il gusto
di essere incazzato personalmente.
Io come uomo posso dire solo ciò che sento,
cioè solo l'immagine del grande smarrimento. Però se fossi Dio
sarei anche invulnerabile e perfetto,
allora non avrei paura affatto,
così potrei gridare, e griderei senza ritegno che è una porcheria,
che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia!

Ecco la differenza che c'è tra noi e gli innominabili:
di noi posso parlare perché so chi siamo
e forse facciamo più schifo che spavento,
ma di fronte al terrorismo o a chi si uccide c'è solo lo sgomento.

Ma io se fossi Dio,
non mi farei fregare da questo sgomento
e nei confronti dei politicanti
sarei severo come all'inizio,
perché a Dio i martiri
non gli hanno fatto mai cambiar giudizio.

E se al mio Dio che ancora si accalora,
gli fa rabbia chi spara,
gli fa anche rabbia il fatto
che un politico qualunque
se gli ha sparato un brigatista,
diventa l'unico statista.

Io se fossi Dio,
quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio,
c'avrei ancora il coraggio di continuare a dire
che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana
è il responsabile maggiore di vent'anni di cancrena italiana.

Io se fossi Dio,
un Dio incosciente enormemente saggio,
avrei anche il coraggio di andare dritto in galera,
ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora
quella faccia che era!

Ma in fondo tutto questo è stupido
perché logicamente
io se fossi Dio,
la Terra la vedrei piuttosto da lontano
e forse non ce la farei ad accalorarmi
in questo scontro quotidiano.

Io se fossi Dio,
non mi interesserei di odio o di vendetta
e neanche di perdono
perché la lontananza è l'unica vendetta
è l'unico perdono!

E allora
va a finire che se fossi Dio,
io mi ritirerei in campagna
come ho fatto io...



Le cinque anatre


Francesco Guccini
Le cinque anatre
da Amerigo [1978]

Cinque anatre volano a sud: molto prima del tempo l'inverno è arrivato.

Cinque anatre in volo vedrai contro il sole velato, contro il sole velato...


Nessun rumore sulla taiga, solo un lampo un istante ed un morso crudele:

quattro anatre in volo vedrai ed una preda cadere ed una preda cadere...


Quattro anatre volano a sud: quanto dista la terra che le nutriva,

quanto la terra che le nutrirà e l' inverno già arriva e l' inverno già arriva...


Il giorno sembra non finire mai; bianca fischia ed acceca nel vento la neve:

solo tre anatre in volo vedrai e con un volo ormai greve e con un volo ormai greve...


A cosa pensan nessuno lo saprà: nulla pensan l'inverno e la grande pianura e a nulla il gelo che il suolo spaccherà con un gridare che dura, con un gridare che dura...


E il branco vola, vola verso sud. Nulla esiste più attorno se non sonno e fame:

solo due anatre in volo vedrai verso il sud che ora appare, verso il sud che ora appare...


Cinque anatre andavano a sud: forse una soltanto vedremo arrivare, ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare, che bisognava volare,che bisognava volare, che bisognava volare...

giovedì 4 settembre 2008

Il Capo di Cuib



Corneliu Zelea Codreanu
Il Capo di Cuib
Edizioni di Ar
€ 12,00



Ciò che fa l'inattualità, quindi la perennità, di questolibretto – breviario di ortodossia e di ortoetica che, steso da Codreanu per i legionari della ‘Guardia diFerro', venne da Nae Jonescu paragonato agliEsercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola – è il suo intendimento di allevare anime. Di fare dell'anima il soggetto che nell'uomo guida la contemplazione, il presidio da cui sorvegliare i moti del corpo della storia.

La Contro Rivoluzione

Thomas Molnar
La ControRivoluzione
Edizione Volpe
Pagine: 189
€12,00

Filosofo della politica e storico delle idee. Di origine ungherese, risiede ormai da lungo tempo negli Stati Uniti. Ha viaggiato molto e insegnato in numerose università e in particolare in quelle magiare, francesi, e americane. E' noto in Italia, oltre che per i suoi libri, per aver partecipato, fin dagli anni Settanta, ai Convegni Annuali delle Fondazione Gioacchino Volpe. Tra le sue opere tradotte in italiano: Il declino dell'intellettuale (Edizioni dell'Albero 1965), La controrivoluzione (Volpe 1970), Il vicolo cieco della sinistra (Rusconi 1970, con Jean-Marie Domenach e Augusto Del Noce), Lo Stato debole (Thule 1980), L'eclisse del sacro (Edizioni Settecolori 1992, con Alain de Benoist). Profondo conoscitore della realtà statunitense, èautore di numerosi libri in argomento, tra i quali spicca L' Américanologie (E Age d'Homme 1991), di prossima traduzione per i nostri tipi (collana "Anamerica").

mercoledì 3 settembre 2008

Convegno Motu Proprio



"Giovani e Tradizione"con il Patrocinio della Pontificia Commissione"Ecclesia Dei"Convegno:II Motu Proprio"Summorum Pontificum"di S.S. Benedetto XVIUna ricchezza spirituale per tutta la Chiesa: un anno dopo.Roma, 16-18 settembre 2008

Programma
16 settembre 2008 - martedi• Ore 8,00-9,00. Accoglienza e sistemazione• Ore 9,30. Canto del "Veni Creator".Introduzione al Convegno: P. Vincenzo M. Nuara, O.P. (Acireale - Catania).• Ore 10,00. Prima relazione: "II Motu proprio Summorum Pontificum: una grande ricchezza spirituale per tutta la Chiesa. Un anno dopo"; Rev.mo Mons. Camille Perl, Vice -Presidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei".• Ore 11,00. Seconda relazione: "La Liturgia tra Tradizione e innovazione. La Riforma paziente di Benedetto XVI"; M.R. D. Nicola Bux, Consultore della S. Congregazione per la Dottrina della Fede.• Ore 12,00. dibattito.• Ore 13,00. pranzo.• Ore 16,00. Visita aI SS. Sacramento e S. Rosario.• Ore 16,30. Terza relazione: "Elementi e prospettive pastorali del Motu proprio Summorum Pontificum"; M. R. D. Joseph Kramer, Parroco della Parrocchia della SS. Trinitià dei Pellegrini (Roma).• Ore 17,30. Quarta relazione: "Summorum Pontificum come risposta al processo di secolarizzazione della societa contemporanea"; Chiar.mo Prof. Roberto de Mattei, Universitià Europea (Roma) e Direttore della rivista "Radici cristiane".• Ore 18,30. dibattito• Ore 19,30. Vespro e Benedizione Eucaristica• Ore 20,00 • Cena

17 settembre 2008 – mercoledi
• Ore 7,0-8,00. SS. Messe nella Basilica Patriarcale di San Pietro.(N.B. I sacerdoti portino il proprio "Missale Romanum" ed. 1962)• Ore 8,30. Colazione.• Ore 9,30. Canto del"Veni Creator". Quinta relazione. "La Santa Messa, Sacrificio della Nuova Alleanza"; M.R.D.,Manfred Hauke, Facoltà di Teologia (Lugano).• Ore 10,30. dibattito.• Ore 11,00. Udienza generale del Santo Padre S.S. Benedetto XVI.• Ore 13,00. Pranzo.• Ore 16,00. Visita aI SS. Sacramento e S. Rosario.• Ore 16,30. Sesta relazione: "Elementi mistagogici dell'Usus Antiquior del Rito Romano della Santa Messa"; M.R.P. Michael Lang, C.O., Universitià Europea (Roma).• Ore 17,30. Settima relazione: "La S. Messa: radice della santità sacerdotale"; M.R.P. Massimiliano Zangheratti, F.I. , Studio Teologico Immacolata Mediatrice (Roma).• Ore 18,30. dibattito.• Ore 19,30. Vespro e Benedizione Eucaristica.• Ore 20,00. Cena.18 settembre 2008 - giovedi• Ore 7,011-8,00. S. Messa nella Basilica Patriarcale di San Pietro.• Ore 8,30. Colazione.• Ore 9,30. Ottava relazione teorico-pratica: "Imparare a celebrare col messale di San Pio V"; M.R.D. Joseph Luzuy, Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote (Roma).• (pranzo libero o da prenotare).• Ore 17,00. Conclusione: S. Messa Solenne nella Parrocchia della S.S. Trinità deiPellegrini celebrata dal Rev.mo Mons. Camille Perl, Vice-Presidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei". (Il servizio liturgico-musicale sarà curato dall'Istituto Sacerdotale Cristo Re Sommo Sacerdote e dalla Cappella Musicale del Pantheon).

Note organizzative:Luogo: Roma - Istituto Maria SS. BambinaVia Paolo VI, 21, 00193 -Tel. 06.6989.3511 - Fax 06.6989.3540e-mail: imbspietro@mariabambina.vaPer informazioni e prenotazioni:Giovanni Turturice - cell. 335.1381727Direzione del convegno:P. Vincenzo M. Nuara O.P. e Angelo Pulvirenti - cell. 330.702501
www.giovanietradizione.org

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