martedì 30 settembre 2008

COME LE SAPEVA FARE BENE E BELLE LE CASE E LE CITTÀ IL MALE ASSOLUTO, NESSUNO.




Pietrangelo Buttafuoco per "Il Foglio"







Il libro di Antonio Pennacchi,"Fascio e Martello. Viaggio per le città del Duce"Come le sapeva fare bene e belle le case e le città il Male Assoluto, nessuno. Il libro di Antonio Pennacchi,"Fascio e Martello. Viaggio per le città del Duce" pubblicato da Laterza (euro 18,00), è un percorso indietro nel tempo, alla scoperta delle città fatte costruire da Mussolini che, escluse Sabaudia e Littoria poi ribattezzata Latina, sono ben poco conosciute alle italiche genti ammorbate dal Bene Totale. E' un esercizio di archeochic quello della scoperta dell'urbanistica del DUCE.
In taluni casi si parla addirittura di piccolissimi insediamenti oggi completamente abbandonati, come Borgo Riena, in Sicilia, che ha oggi un unico abitante, Totò Militello, un ottantenne condannato all'ergastolo per un omicidio in primo grado, che aveva aspettato l'appello "canziatu", cioè in latitanza, e che per questo di notte scendeva a Borgo Riena dove la sua famiglia si era trasferita per la colonizzazione. Totò, che si è sempre proclamato innocente, è stato assolto in appello. La Regione siciliana ha poi cacciato i pochi abitanti dell'insediamento, che ora è "vacante", vuoto. Così Totò è di nuovo "canziatu". Nessuna carta geografica riporta il nome di questa località, non è registrata in alcuna mappa catastale. Ma è una "città nuova" come le altre che Pennacchi ha visitato e di cui ha studiato la fisionomia e l'humus, la storia e soprattutto le cause della loro fondazione.
Queste città sono l'espressione tangibile della politica avviata da Mussolini a partire dagli anni Trenta e secondo Pennacchi - autore tra gli altri de "Il Fasciocomunista", un best seller Mondadori - e di "Palude" (Donzelli) - rispondente a un disegno che il DUCE aveva elaborato molti anni prima, ossia la bonifica dell'Italia centro-meridionale, la costruzione di insediamenti, "le città nuove", che divenissero il tessuto sociale di una nuova classe di contadini, capaci di rappresentare lo zoccolo duro del regime fascista.Pietrangelo Buttafuoco
La tesi di Pennacchi è che il DUCE vuole instaurare in Italia, all'indomani della presa del potere, una dittatura proletaria contadina, espropriando il latifondo che tanta estensione aveva nella penisola, e riDUCEndo così l'influenza dei grandi proprietari terrieri che possedevano migliaia di ettari di terra, ma si limitavano a coltivarli a grano o a lasciarli a pascolo, garantendosi una rendita parassitaria.
Si resta stupefatti apprendendo come, nel giro di pochi anni, il progetto di bonifica dell'Agro Pontino sia stato effettuato, ma anche l'insediamento umano, attraverso la costruzione ex novo di città, nelle quali sono stati trasferiti coloni provenienti da altre regioni di Italia, il Veneto per esempio, allettati dalla possibilità di un lavoro dignitoso ma soprattutto dal possesso di un podere che lo stato fascista consegnava al nuovo venuto e alla sua famiglia già perfettamente completo.
L'avventura di costruire città laddove per secoli, se non addirittura per millenni, aveva regnato la palude, abitata da micidiali zanzare portatrici di malarie, serpenti lunghi anche due metri e grossi topi roditori, è un affare di stato. Sbalordisce la velocità con cui tale progetto è stato portato a termine. Aprilia fu edificata in diciotto mesi, per Littoria ne bastarono addirittura sei. Il centro dell'insediamento è rappresentato dalla torre littoria che, secondo Pennacchi, è la ripresa che il fascismo fa, della torre medievale che per tutta l'età comunale rappresenta il cuore laico della civitas, facendo fuori il luogo comune, che invece identifica nella chiesa il centro simbolico della comunità.
Le immagini note del DUCE che pone la prima pietra e, novello Romolo, traccia il solco, dovettero ripetersi innumerevoli volte, se il calcolo di Pennacchi arriva a contarne fino a centocinquanta di varie dimensioni da una punta all'altra dell'Italia, fino all'Istria e senza contare i villaggi edificati nell'Impero fascista. Non è solo l'impresa, già per sé meritoria, di fondare città, che è un altro modo non guerresco di "essere facitori di storia". La città diviene il luogo in cui gli individui che la abitano, possono partecipare a una serie di attività organizzate secondo i dettami del partito. Il cinema, il dopolavoro, la biblioteca, l'asilo, i campi sportivi.
Ad Arsia ci saranno perfino le piscine e gli impianti di riscaldamento centralizzato. E poi le organizzazioni giovanili, la Mutua, le colonie estive. Il DUCE ha ruralizzato le masse mediante un'urbanizzazione realizzata in soli dieci anni, dal 1932 al 1942. Continuava a far costruire città anche in piena guerra. Hanno, tutte queste città, una sorta di impronta che le accomuna. Intanto ovunque sono stati piantati eucaliptus perché assorbono acqua, allontanano le zanzare e sono un'ottima barriera contro il vento, almeno così sostenevano quelli della Milizia forestale che li piantavano ovunque. Pare che fosse tutto vero, tranne la storia che respingessero le zanzare, anzi sembra proprio che avessero l'effetto contrario.
Ma tant'è, almeno contro il vento funzionavano davvero. E infatti, dopo la guerra, la Regione Lazio li ha fatti sradicare, così che le trombe d'aria, adesso, quando arrivano, tirano via perfino i tetti dei capannoni e gli oleandri che la gente ha piantato in giardino. Ogni città ha la sua piazza, la sua Casa del Fascio e anche il suo campanile, ma un tantino defilato rispetto al centro urbano. Gli anni in cui l'urbanizzazione delle terre bonificate raggiunse il suo culmine, vanno dal '31 al '36. In pochi anni si passa "dalla preistoria alla modernità".
Poi c'è la conquista dell'Impero e successivamente, dal '38 al 42, il secondo periodo di bonifica, in Puglia, Campania e Sicilia. Anche la fondazione dell'Impero con la conquista dell'Abissinia e il trasferimento in Libia di trentamila rurali, fa parte del disegno fascista di dittatura delle masse. Visto che la bonifica in Italia comporta lo scontro con i grandi latifondisti, Mussolini ritiene più semplice andare a conquistare la terra di cui ha bisogno fuori dalla penisola costruendovi sopra i villaggi che debbono ospitare i coloni. Anche in questo caso l'obiezione di tanta storiografia è che sembra un'operazione esagerata andare a conquistare terra mentre altri cercano almeno oro e petrolio, e farlo con i gas.
Attraverso il viaggio per le città del DUCE, Pennacchi in realtà vuol delineare la fisionomia del regime fascista. La sua tesi è che, lungi dall'essere una dittatura di destra, quella che Mussolini instaurò fu una dittatura contadina. Era il passato socialista del giovane Mussolini che si realizzava nella creazione di una classe sociale nuova ritagliata sull'espropriazione del latifondo e la rinascita dell'antico mezzadro vessato dal padrone a colono di un podere tutto suo.
A segnare la trasformazione del regime in totalitarismo concorre l'avvicendarsi dei simboli dalla prima fase della ruralizzazione alla successiva. La torre littoria viene sostituita nella sua centralità, dalla Casa del fascio, il potere laico è divenuto potere proletario. Non era stata operazione facile da realizzare. Anzi in un primo tempo, Mussolini non è ancora così forte da poter inimicarsi il ceto agrario, né ha tutto il denaro che i suoi progetti richiedono. Pertanto si appoggia agli stessi proprietari terrieri che vengono aiutati nei lavori di bonifica, da sovvenzioni dello stato. Ma alla fine degli anni Venti la situazione cambia.

Il DUCE, nonostante le resistenze dei latifondisti, affida i lavori di bonifica all'Opera Nazionale Combattenti fondata da Nitti, di cui nomina responsabile unico il conte Valentino Orsolino Cencelli, al quale dà carta libera: espropriare la terra, frazionarla in piccole unità e venderla ai coloni. Lo scontro è duro. Da una parte, il Consorzio dei proprietari, che ha buoni appoggi al ministero dell'Agricoltura, dall'altra Cencelli. Quando le tensioni tra le due parti diventano insostenibili, il DUCE sostituisce Cencelli con Araldo di Crollalanza, più diplomatico nei rapporti con i proprietari terrieri ma anche più sinceramente socialista.
Aprilia e Pomezia vengono progettate da Concezio Petrucci, un giovane architetto che nel 1929 già insegnava nella facoltà di Firenze appena istituita e che successivamente progetterà Fertilia in Sardegna e Segezia in Puglia. Sabaudia viene fondata nel 1933. Intanto il DUCE ha ben altre preoccupazioni. Nel 1935 la conquista dell'Abissinia gli ha inimicato le potenze europee, che attraverso la Società delle Nazioni comminano all'Italia pesanti sanzioni, tra cui il divieto di importare merci dall'Europa. L'Italia ha soprattutto bisogno del carbone per il quale dipende totalmente dai paesi europei. Viene trovata una valida alternativa nella lignite, un succedaneo del carbone, che si trova in grandi quantità nel Sulcis, in Sardegna. Ha minor potenza calorica ed è più costoso del carbone, ma non c'è altro da fare. Il DUCE dà ordine di estrarlo.
Viene creata l'Acai (Azienda Carboni Italiani), con a capo il commendatore Giulio Segre, proprietario di una società estrattiva con miniere di carbone in Istria, l'Arsa, che confluirà nell'Acai. Segre farà costruire Carbonia in Sardegna e Arsia in Istria, tra Pola e Fiume. Anche la storia di questi insediamenti, può servire a notare alcune incongruenze del regime. Il DUCE va in Abissinia ricavandone l'isolamento economico in Europa, deve inventarsi una materia prima da produrre in Patria e da inviare ovunque nella penisola, impiantare miniere, trasferire individui che hanno bisogno di insediamenti abitativi, "le città dell'autarchia". Qui il controllo sociale è ferreo. Nessun ricambio di classi sociali come era avvenuto nelle città della bonifica. Carbonia è popolata per il cinquanta per cento di pregiudicati, non ci sono donne, è un insediamento che gravita interamente sull'attività mineraria che Segre controlla con pugno di ferro, ricevendo dal DUCE attestati di stima. Ma i tempi cambiano, anche i vincoli più saldi e le amicizie più durature non reggono l'urto e la sciagura della ragion di stato. Cresce l'ostilità contro gli ebrei.Mussolini e Famiglia
Segre era ebreo di nascita, ma si riteneva italiano a tutti gli effetti. Rifiutava il sionismo, era un fascista convinto, un grande patriota e un eroe della Grande guerra. L'architetto che aveva scelto per disegnare il piano regolatore di Carbonia era un triestino di origine ebrea, Gustavo Pulitzer. Carbonia fu inaugurata il 18 dicembre 1938, ma Segre non partecipò alla festa. Il 17 novembre erano state promulgate le leggi razziali. Segre viene costretto alle dimissioni dalla guida dell'Acai e sostituito. Nel '43 chiede ancora invano di poter partecipare alla guerra, da soldato italiano. Dovette riparare in Vaticano dove morì nel '44.
Dopo la guerra, il carbone, quello vero, riprese ad arrivare dall'Europa e via via le estrazioni nel Sulcis presero a rallentare fin quasi a cessare. Pare che, oggi, sia rimasto in attività un unico pozzo. Carbonia invece è ancora lì, è diventata una città del terziario, la più importante del versante sud-occidentale della Sardegna. Le gallerie delle miniere stanno ancora tutte sotto la città, sono parte essenziale della sua identità. Pare che il vento, quando soffia forte, si insinui nei mille cunicoli sotterranei urlando. Urla quasi umane che arrivano fino a sù. Il calore emanato dalla lignite non si è spento, talvolta si innalzano colonne di fumo. In città si mormora che la miniera è abitata dagli spiriti. Forse è il fantasma di Segre che attende ancora giustizia.
La seconda fase della bonifica viene attuata a partire dal 1938 da Araldo di Crollalanza, incaricato dal DUCE di estendere i lavori nel Foggiano, dopo i successi dell' Agro Pontino, in Campania e in Sicilia. Il piano prevede una durata di dieci anni per la completa realizzazione del progetto. Bisognerà appoderare il territorio in piccole unità affidate alle famiglia coloniche con contratti di lunga durata.
Gli inadempienti saranno espropriati. Lo stato realizzerà tutte le infrastrutture necessarie: strade, ponti, canalizzazione delle acque. Nemmeno lo scoppio della guerra fa recedere Mussolini dai suoi progetti. Ancora nel '42, in piena guerra, viene inaugurata Segezia, la più importante delle città pugliesi. Ma l'operazione compiuta in precedenza, trapiantare popolazioni di altre regioni italiane nel tessuto sociale preesistente, suscita forti reazioni contrarie. E di Crollalanza dovette cedere alle pressioni locali sia degli inviperiti proprietari terrieri espropriati delle loro terre che dei braccianti. Con la caduta del Fascismo, sarà la Democrazia Cristiana ad avviare una nuova riforma agraria, ancora con gli agrari contro, e i braccianti minacciosi disposti anche a bruciare le terre pur di entrarne in possesso. La frammentazione della terra sarà così parcellizzata - i poderi non dovevano superare i quattro ettari di estensione - che molti braccianti pugliesi, emigreranno, abbandonando la terra. Intanto è stata ripresa la coltivazione del grano. E' un'attività più comoda, permette al contadino di tornare la sera al paese. Sono state dismesse le stalle e qualunque agricoltura intensiva. I piccoli poderi sono stati rivenduti e nel giro di pochi anni sono ricomparsi i latifondi.Mussolini e Hitler
La classe dirigente del dopoguerra sarà rappresentata da quello stesso ceto di latifondisti espropriati durante il fascismo. Il nuovo è il vecchio che ritorna. Nelle città fondate dal DUCE non ci abita più nessuno, solo qualche famiglia che si è impadronita abusivamente delle case. Di sera la piazza di Segezia si riempie di extracomunitari che tornano dal lavoro nei campi. Sembra una moderna torre di Babele, riecheggiano idiomi vari compresi solo da chi li parla.
Poi come le quinte di un palcoscenico, la piazza lentamente si svuota, la città torna deserta e tutti vanno a dormire chissà dove. Il grande progetto di Mussolini, creare "l'uomo nuovo", ruralizzare l'Italia, ridimensionare i privilegi dei grandi latifondisti, ridare nuova linfa all'agricoltura, disseminare l'Italia di poderi, è fallito. Così come l'assalto al latifondo siciliano, dove c'erano in ballo ben cinquecentomila ettari di terra da espropriare. La guerra ha spazzato via tutto. Per alcuni storici l'unico risultato tangibile del progetto del DUCE, sarebbe la bonifica dell'Agro Pontino, settantamila ettari di terreno.
In realtà l'operazione riguarderebbe circa un milione di ettari. Pennacchi sostiene che, se Mussolini avesse solo portato a termine la ruralizzazione dell'Italia, sarebbe restato un fascista di Littoria, il guaio è che poi i fascisti sarebbero diventati tutti antifascisti, compreso quel pennellone lì che c'ha campato una vita a fare i saluti romani e a trascinarsi dietro Mirko Tremaglia e Carlo Tassi in camicia nera, giusto per guadagnarsi la giornata con i ragazzi di Salò.
Detto questo ha ragione Lucio Caracciolo che ha ospitato nel suo Limes questo straordinario viaggio di uno straordinario scrittore qual è il Pennacchione nostro, dove si parte in un modo e si arriva in un altro. E veramente - come scrive Caracciolo - sarebbe stata "una catastrofe epistemologia" se il DUCE non avesse avuto il mal di pietre nel costruire tutte le sue città. Nessuno dopo l'avrebbe fatto e nessuno avrebbe fatto le bonifiche e soprattutto non ci sarebbe stato Antonio Pennacchi, scrittore di Latina. "Una catastrofe epistemologica". Infine la domanda di Caracciolo: "Ma al Duce ‘Le città del Duce' di Antonio Pennacchi sarebbe piaciuto?". Certo che gli sarebbe piaciuto: il DUCE era dei nostri.

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